Lo studio Protect (dall’inglese Prostate Testing for Cancer and Treatment) ha seguito 82.429 uomini, di età compresa fra i 50 e i 69 anni, che tra il 1999 e il 2009 avevano fatto un test del Psa (Antigene Prostatico Specifico) per confrontarne i risultati ottenuti tramite due approcci curativi per il trattamento del cancro alla prostata localizzato: chirurgia e radioterapia. Si è notato che, mentre dal punto di vista dell’efficacia i risultati sono eguali, per la qualità della vita dei pazienti l’approccio è stato molto diverso. I partecipanti sono stati seguiti per circa 10 anni, spiega Riccardo Valdagni, direttore del Programma Prostata e Radioterapia Oncologica 1 all’Istituto Nazionale Tumori (Int) di Milano, e la loro mortalità, con tumore alla prostata in classe di rischio basso e intermedio è stata inferiore all’1%, indifferentemente dall’approccio terapeutico seguito. Per quanto riguarda però i problemi urinari, intestinali, sessuali, dopo 6 anni dalle cure il 17% dei malati sottoposti a prostatectomia radicale aveva problemi di incontinenza mentre dei sottoposti a radioterapia era solo il 4% ad avere il problema. Anche per quello che riguarda la capacità di mantenere l’erezione nel rapporto sessuale le percentuali erano del 17% dopo chirurgia e del 27% dopo trattamento radiante. Invece erano peggiori i problemi per i pazienti trattati con radioterapia per quanto riguarda la funzionalità intestinale e i disagi a causa della presenza di sangue nelle feci. Bisogna quindi valutare il tipo di terapia più adatto, personalizzando le terapie e, per i casi che soffrono di una forma indolente, poco aggressiva, localizzata alla prostata e di dimensioni ridotte, è consigliata la sorveglianza attiva, con esami specifici e controlli periodici.
(Sintesi redatta da: Balloni Flavia)