Case di riposo o lager? In alcuni casi il dubbio sorge legittimo, anche se non sarebbe giusto fare di ogni erba un fascio e dimenticare che a fronte dei troppi episodi di violenza fisica e psicologica perpetrati sugli anziani, portati alla ribalta dalla cronaca degli ultimi mesi, centinaia di strutture residenziali operano in silenzio e con alti livelli di professionalità, umanità, eccellenza.
“Indignarsi non basta”, dice il presidente Auser nazionale Enzo Costa. Di qui, alcune indicazioni concrete. Anzitutto l’installazione di telecamere negli istituti come deterrente. Costa pensa inoltre ad un’aggravante di pena e fa riferimento a “un disegno di legge presentato dal ministro Lorenzin in Senato, che prevede un aumento di un terzo della pena per chi commette questi atti all’interno delle strutture socio sanitarie". Per il presidente dell’Auser, inoltre, una “presenza costante e strutturata del volontariato aiuterebbe a migliorare i servizi alle persone e garantirebbe più trasparenza”.
Ulteriore proposta, l’istituzione di un Albo nazionale del personale professionalizzato e certificato.
In linea di massima, è d’accordo don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute che espone il problema dell’eccessivo carico di lavoro del personale nelle case di riposo. Però puntualizza: “non può in alcun caso costituire un’attenuante né tantomeno una giustificazione. Gli operatori devono possedere idonei requisiti psicoattitudinali e il loro ‘equilibrio’ va verificato nel tempo”.
Per Sofia Rosso, presidente di Anteas (Associazione nazionale tutte le età attive per la solidarietà), “occorrerebbero maggiori investimenti nel sostegno alle famiglie che scelgono di assistere un proprio caro a casa”. Tuttavia, un ruolo strategico nella prevenzione lo rivestono “formazione, motivazione e consapevolezza del ruolo”.
(Fonte: tratto dall'articolo)