A Bergamo l’equipe educativa ‘Sostegno all’Abitare’ collabora da anni con il Comune per intervenire sui nuclei con forti morosità, per contrastarne la crescita e possibilmente superare il debito contratto con l’Aler o col Comune stesso. Si tratta di una sperimentazione che dal 2012 ad oggi è riuscita a chiudere 44 casi, occupandosi di adulti e non solo (anziani, adolescenti, coppie). La chiave di volta è il lavoro di coppia che vede l’assistente sociale affiancato dall’educatore, entrambi in un contesto allargato all’equipe che ha permesso l’evidenziarsi di stili differenti e di formazioni diverse. Un percorso che ha permesso il riconoscimento importante anche della consulenza, del supporto e del sostegno, valorizzando l’intreccio dei due sguardi professionali.
Un aspetto strategico che ha permesso la capitalizzazione degli elementi emersi via via, è stata la continuità nella figura del coordinamento educativo che ha favorito la costruzione di un linguaggio comune ai diversi educatori e la tenuta di un orizzonte educativo orientato sia l’ascolto attivo, sia all’operatività concreta. L’assistente sociale, rappresentando l’istituzione Comune, è spesso stata associata alle regole, alle procedure, alle mediazioni formali. L’educatore, di contro, si è proposto con un ruolo più aperto, e con un’azione a tutto campo: quartiere, uffici, parenti. La differenza di ruoli ha significato anche la possibilità di proporre differenti relazioni mantenendo però la loro complementarietà. Ciò ha potenziato gli esiti del lavoro socio-educativo.
Le persone in condizioni di grave marginalità sono persone che hanno perso tutto, non solo beni materiali, ma soprattutto legami. Per loro ciò che conta è la relazione, basata, almeno inizialmente sui codici imparati in strada: le sfide comunicative sono uno tra i meccanismi più duri a morire. Per queste persone non esiste il concetto di quotidianità, per questo spesso sono gli animali il primo bene necessario e non la luce o i mobili. E la perdita di un animale può essere l’unica urgenza da trattare sulla quale concentrare il lavoro degli operatori.
Una delle difficoltà più gravi è lavorare sulla responsabilità. Per alcuni di loro si tratta di un rapporto rimosso o negato. La difficoltà dell’educatore in un simile quadro, è enorme e il rischio è operare sulla costruzione di elementi propedeutici ad una assunzione della propria vita, senza considerare la promozione di un diritto perché non è chiesto, mentre anche questo a volte è solo dimenticato.Tutto ciò significa che le persone fragili richiedono un tempo lunghissimo e non quantificabile. Per queste persone, per le quali la relazione è il bene primario, senza una progettualità da legare alla cronicità, la dimensione del tempo è una variabile spesso nulla. In questi casi la relazione tra educatore e utente diventa obiettivo e non strumento e l’aspetto educativo finisce per sostanziarsi nel mantenimento della relazione.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)