Uno studio condotto dalla Shanghai Jiao Tong University per la prima volta ha individuato un biomarcatore affidabile per diagnosticare la patologia neurodegenerativa ai suoi esordi. Si tratta dell'acido formico, i cui livelli risultano più alti in tutti coloro che hanno il morbo. Certamente non si tratterebbe di un risultato univoco: alti livelli di acido formico nelle urine si hanno, ad esempio, anche in casi di infezioni urinarie, ma potrebbe essere un'importante svolta diagnostica dato che l'Alzheimer rischia di passare inosservato fino alle fasi più avanzate e finora servono accertamenti invasivi e decisamente più costosi di una semplice analisi chimica.
L'acido formico è un metabolita della formaldeide, del metanolo e di altri agenti chimici. Il dosaggio nelle urine può essere utilizzato per il monitoraggio dell'esposizione professionale a questi composti. Ma ben più comunemente viene prodotto in grandi quantità nel nostro organismo dagli enterococchi e dal famigerato E. coli in caso di infezione all'apparato urinario o della vescica. Lo squilibrio del microbiota intestinale ha una correlazione con lo sviluppo delle placche amiloidi nel cervello che causano i primi disturbi neurodegenerativi dell'Alzheimer, e pare che sia proprio per questo motivo che alti livelli di acido formico siano in grado di evidenziare da subito questo tracollo.
Ad aver trovato le prove della correlazione tra il microbiota intestinale e la patologia neurodegenerativa è stato un team dell'Università di Ginevra insieme ai colleghi italiani del Centro nazionale di ricerca e cura per l'Alzheimer e le malattie psichiatriche Fatebenefratelli di Brescia, dell'Università di Napoli e dell'Irccs Sdn Research Center di Napoli. Dalle loro ricerche, pubblicate sul Journal of Alzheimer's Disease due anni fa, emerge che le proteine prodotte da alcuni batteri intestinali, individuati nel sangue dei pazienti, potrebbero infatti modificare l'interazione tra il sistema immunitario e quello nervoso, scatenando così la malattia.
Ora i ricercatori cinesi hanno fatto un passo in più, monitorando i valori di 600 volontari sani e malati alla ricerca di similitudini. E quando hanno visto che tutti i pazienti con Alzheimer conclamato avevano alti livelli di acido formico nelle urine, hanno capito che non poteva essere una coincidenza. Prima di capire che la chiave era l'acido formico, i ricercatori avevano già individuato nella formaldeide un primo biomarcatore sanguigno. Ed è stato ancora più interessante scoprire che abbinando i risultati degli esami delle urine a quelli del sangue si possono ottenere risultati ancora più precisi sullo stadio della malattia che sta vivendo un paziente.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)