Le placche di beta amiloide sono di fatto l’unico target su cui si sono concentrati gli sforzi degli ultimi due decenni nella cura dell’Alzheimer, ma ultimamente è aumentato il numero di neurologi che sostengono che focalizzarsi solo su qualcosa che non ha mai dato risultati realmente trasformativi sia un accanimento alimentato da quella che viene definita "la kabala dell’amiloide".
La rinascita delle cure per l’Alzheimer è piuttosto resa possibile dalla consapevolezza della complessità della malattia, e dal fatto che si è finalmente iniziato a guardare anche al di là delle placche di beta amiloide. Un gruppo del Karolinska Institute di Stoccolma, in particolare, sta portando prove a sostegno di una tesi che capovolge l’idea dominante, ottenute in anni di studio dei pazienti: per prevenire l’Alzheimer bisogna probabilmente aumentare la concentrazione di proteina beta amiloide circolante (nel liquido cerebrospinale) e, in particolare, del tipo chiamato 42. Finora, invece, si è sempre cercato di ridurla perché – si pensava – meno ce n’è in circolo, minore è il rischio che si depositi in placche. Ma i dati dicono anche, per esempio, che gli anticorpi contro di essa peggiorano l’andamento della malattia, e che nelle forme ereditarie, giovanili, l’amiloide 42 è particolarmente bassa, e le placche non ci sono.
Inoltre una massa crescente di ricerche punta su alcuni virus della famiglia degli herpes come quello labiale che, molti anni dopo l’infezione acuta, causerebbero la demenza. Così, uno studio durato 10 anni e condotto su 8.300 persone infettate dall’herpes simplex 1 ha mostrato che coloro che avevano assunto antivirali in modo continuativo avevano avuto il 90% di rischio in meno di sviluppare una demenza rispetto a chi non aveva curato l’infezione. Secondo altri studi, inoltre, anche l’herpes della varicella e dello zoster sarebbe associato a un aumento di rischio. L’amiloide sarebbe coinvolta nella risposta ai patogeni, e per questo una sua iperattivazione cronica sarebbe pericolosa; al momento, alcuni studi stanno valutando l’uso di antivirali nei malati. Negli ultimi anni, infine, è emerso il ruolo dello stile di vita, che ha conseguenze molto significative sul rischio.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)