Salvo rare eccezioni, i bambini rispondono meglio degli adulti all'infezione da SARS-CoV-2. Quest'osservazione ha dei precedenti nei casi di SARS e MERS; ma da cosa potrebbe dipendere la diversa risposta dei bambini? In che modo l'età influenza il nostro sistema immunitario? Secondo l’analisi di Epicentro basata su un campione di 31.096 pazienti positivi deceduti, l’età media di chi è morto è 80 anni, di quasi 20 anni più alta del totale di quelli diagnosticati infetti (62 anni). Nel campione, i pazienti di età inferiore ai 50 anni sono 347 (l’1,1% dei deceduti); i deceduti con meno di 40 anni sono 78, di cui 53 con patologie pre-esistenti (cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità), 14 con un’anamnesi muta per condizioni di rilievo e 11 con storia clinica ignota.
Queste osservazioni hanno avuto precedenti nella SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome), emersa nel 2002-2003, che ha portato a 8.098 casi e a 774 morti in un periodo di 9 mesi e, dieci anni dopo, nella MERS (Middle East Respiratory Syndrome) che ha infettato 2.494 persone con 858 morti: i bambini hanno rappresentato meno del 5% dei soggetti colpiti da entrambi i coronavirus (con una relativa sovra-rappresentazione dei lattanti sotto l’anno d’età). Basandosi sui dati raccolti nei primi due mesi a Wuhan, i bambini positivi asintomatici sono circa il 20%, meno della metà di loro ha febbre e solo il 2% ha bisogno di terapia intensiva, perché anche il risentimento polmonare è clinicamente meno grave.
Eric Rubin, infettivologo di Harvard ed editore capo del New England Journal of Medicine, ipotizza che gli adulti patiscano gli effetti del Covid-19 più dei bambini perché il loro sistema immunitario non riesce a trovare la giusta via di mezzo tra una risposta insufficiente e una risposta eccessiva. Gary Wing-Kin Wong, pneumologo infantile di Hong Kong, che ha firmato con i suoi colleghi di Wuhan un articolo sull'argomento, paragona quest’ultima alla spedizione di un battaglione di carri armati per affrontare ladri che rubano in una casa e che "finisce per distruggere l'intero villaggio".
Un declino legato all'età tocca anche alle cellule deputate specificamente alla difesa da agenti infettivi esterni, come i linfociti vergini (naïve), decisivi contro le nuove infezioni. Un giovane adulto sano ha una popolazione di circa 107 cloni distinti da recettori diversi e i bambini hanno un repertorio ancora più ampio, in proporzione alle dimensioni del loro timo (l’organo linfoide situato nel mediastino anteriore che genera nuovi linfociti): a 5 anni il repertorio è 5-10 volte più ampio che a 50 anni e oltre 20 volte più che a 80. Purtroppo, questo repertorio diminuisce decisamente con l’età. A partire dall'anno di vita, il declino delle cellule immunocompetenti ha, in media, un tasso del 4% l’anno, che rallenta verso la metà della vita, per poi accelerare nella terza età. È anche plausibile, per complicare il quadro, un impatto competitivo prodotto dall'espansione di cloni linfocitari che rispondono a infezioni virali croniche latenti, come quelle da virus di Epstein-Barr (mononucleosi), da cytomegalovirus o da herpes. Il loro continuo riciclo cellulare, inoltre, facilita le mutazioni casuali, che danno il tocco finale all'immunosenescenza.
(Fonte: tratto dall'articolo)