L’animazione svolge una funzione importante all’interno di una Rsa per liberare l'anziano dalla spirale del deterioramento, ma si tratta di definire con esattezza il concetto di animatore geriatrico per distinguerlo, così da non creare false aspettative, da quello “turistico”. L’esperienza di animazione in una struttura con anziani è piuttosto un laboratorio socio-culturale con progetti e attività di carattere culturale, espressivo e comunicativo.
Il luogo di azione è uno spazio con persone accomunate da deficit cognitivi e psicologici, fisici e sociali attorno cui ruotano le varie figure assistenziali e di sostegno. Tutto ciò richiede da parte dell’animatore doti di equilibrio e flessibilità per portare a termine il compito di allestire setting che consentano di definire un ambiente “leggero”, dove sia possibile esprimersi liberi da quelle logiche dell’ospedalizzazione che inibiscono e spesso bloccano la soggettività dell’anziano.
Così i laboratori artistici ideati per gruppi eterogenei con patologie anche cognitive, devono favorire l’espressione del sé (per cui sono aperti anche ai caregiver), senza fini didattici, per migliorare l’autostima e le capacità di relazione, rendendo così l’ambiente più accogliente e attivo. Un esempio ad hoc è il laboratorio di arte-terapia dedicato alle araldiche familiari, che permette all’anziano di ritrovare le proprie radici, anche con il contributo dei parenti.
In futuro è possibile immaginare - sulla scia del progetto dell'Università di Bologna all'interno della Festa della storia - Rsa aperte al pubblico e alle discipline olistiche, dove l’arteterapia, la pet therapy, la scrittura creativa, la musicoterapia sono strumenti quotidiani usati dagli ospiti come libera espressione della propria individualità e, grazie a percorsi integrati, possono sviluppare percorsi su misura per mettere il benessere al centro della persona.
In questo quadro l’animatore sociale sarà una figura poliedrica col compito di armonizzare i diversi attori che abitano le Rsa. Andando oltre, sarebbe interessante ipotizzare l’uso delle strutture sanitarie come musei aperti, in tal modo migliorerebbe la percezione di valore degli operatori e degli utenti, centrando l’obiettivo della cura comunitaria libera dalle pastoie di quella sanitaria.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)