Il coronavirus è più letale con gli anziani, ma non è l'età il fattore determinante. Aggredisce chi è particolarmente “fragile". Questa la teoria di Roberto Pili, medico e presidente della Comunità mondiale della longevità.
"Ne è una riprova il fatto che i centenari si stanno dimostrando particolarmente resistenti al virus", chiarisce l'esperto. In primis in Ogliastra, zona celebrata per la diffusa 'centenarietà'.
Pili parte da una considerazione. "Sono proprio i centenari, di contro, che si stanno rivelando estremamente resistenti all'infezione da Covid-19. Chi raggiunge e supera il secolo di vita lo deve - più che a qualche fattore isolato come l'ipotesi, suggestiva, legata alla carenza nell'enzima G6PD - alle complesse interazioni tra patrimonio genetico, stili di vita e condizioni ambientali".
Una resistenza quella dei centenari passati indenni già in epoca preantibiotici a gravi malattie come scarlattina, difterite, malaria, che si associa all'altra resistenza alle malattie non trasmissibili, veri e propri big killers: ipertensione, diabete, osteoporosi, malattie reumatologiche, cardiovascolari, malattie croniche che comportano una incombente fragilità.
"Ed è purtroppo la fragilità" - ribadisce l'esperto - "Una particolare suscettibilità ad aggravarsi e/o a sviluppare nuove malattie che fa degli anziani una categoria a rischio infezioni come il Covid".
La scommessa per un futuro protetto da infezioni devastanti? "Passare dalla medicina d'attesa alla medicina proattiva - suggerisce il presidente della Comunità mondiale della longevità - capace di estendere i privilegi di salute di cui godono i centenari alla più ampia platea di persone".
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)