Nelle case di riposo in Italia ci sono all’incirca 200-250 mila posti. Il costo dipende dal grado di autosufficienza dell’anziano: dai 2.400 agli oltre 4.000 euro al mese, a seconda delle Regioni, e le cifre delle rette mensili sono in aumento costante. La metà del costo è coperto dal finanziamento pubblico (fermo da anni), l’altra metà a carico dell’ospite. Business in espansione per le società private profit, colpo letale ai risparmi di una vita per l’ospite e i suoi familiari. La degenza media è di 12 mesi: si porta la persona anziana nella casa di riposo quando non è proprio più possibile gestirla fuori.
Vita difficile anche per gli anziani non autosufficienti che vivono a casa e le loro famiglie. Le badanti che se ne occupano sono 1 milione, di cui il 60% non vengono messe in regola. La grande maggioranza di loro è pagata, almeno in parte, con i 530 euro al mese dell’indennità di accompagnamento destinata a chi non è in grado di alzarsi, lavarsi e vestirsi da solo. E un anziano con demenza che deve essere monitorato h24 a causa dei suoi problemi comportamentali riceve gli stessi soldi, sempre alla voce «indennità di accompagnamento», di chi ha bisogno di aiuto solo nelle attività di base della vita quotidiana.
Gli 858.722 che hanno un infermiere per la cosiddetta assistenza domiciliare integrata (Adi) finanziata dal servizio sanitario nazionale ce l’hanno per un massimo di 18 ore l’anno. Adesso il Pnrr stanzia 2,72 miliardi di euro per il numero di anziani assistiti di qui al 2026, ma se parallelamente non viene aumentato il monte-ore dell’assistenza, il problema resta. Non risolve la situazione neppure che 131 mila beneficino dei servizi sociali del Comune che mandano qualcuno che aiuta ad alzarsi, mangiare e vestirsi (Sad). La frammentazione e la duplicazione dei servizi porta con sé l’inefficacia degli interventi. In aggiunta per ricevere gli aiuti è necessario fare ogni volta una domanda diversa con un’odissea tra sportelli e commissioni anche se l’ente statale che li eroga è sempre lo stesso, l’Inps.
Per l’infermiere a casa (Adi), l’accesso a strutture semidiurne, le protesi e pannoloni bisogna fare ancora altre domande a commissioni diverse anche se il referente è sempre l’Asl; e per i voucher per l’assistenza domiciliare del Comune (Sad) è necessario rivolgersi ai Servizi sociali. In seguito alla Legge 33 terminerà l’odissea tra sportelli con l’introduzione di una «Valutazione nazionale unica» che garantisce l’accesso simultaneo a tutte le prestazioni di competenza statale di cui un non autosufficiente ha diritto in base alla sua gravità e che sarà trasmessa in via informatica alle nuove «Unità di Valutazione Multidimensionale locali» senza ulteriori adempimenti. Per attivare i servizi il cittadino si rivolgerà a presidi territoriali (le Case della Comunità).
Nel decreto legislativo che dovrà essere approvato in via definitiva dopo l’esame delle commissioni competenti entro i primi dieci giorni di marzo manca il salto di qualità. Il primo sarebbe fare in modo che l’importo dell’invalidità di accompagnamento che riguarda 1 milione e 570mila anziani cresca per le famiglie che decidono di pagare la badante regolarmente. L’altro pilastro della riforma è il riconoscimento di più soldi a chi ha più bisogno perché più grave. Serve, infine, il potenziamento delle ore di assistenza domiciliare che deve passare da un aumento dei fondi a disposizione e dall’eliminazione dei doppioni nei servizi (Adi e Sad). Per realizzare questi obiettivi la riforma prevede la creazione di un Sistema Nazionale per la Popolazione Anziana non Autosufficiente (Snaa) con la programmazione condivisa di tutte le misure pubbliche – delle Asl, dei Comuni e dell’Inps – da parte dei diversi soggetti responsabili. Al momento, però, il decreto attuativo non prevede di fatto nulla in tal senso.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)