C’è un dramma nel dramma che provoca una stretta al cuore e un senso di ingiustizia.
È l’elevato numero di morti tra gli ospiti delle case per anziani in Ticino: più o meno la metà di coloro fin qui deceduti per/con coronavirus.
Continuiamo a leggere e a sentire di ultraottantenni con patologie pregresse, dunque assai vulnerabili. Ma ciò non basta a spiegare e men che meno a giustificare la tragica lunga lista.
La si poteva quantomeno contenere? Se lo chiedono anzitutto parenti e conoscenti di chi non c’è più.
In Ticino le case per anziani sono quasi settanta. In alcune, ad oggi, non si registrano né contagi, né decessi. Non così in altre.
Perché? Cosa non ha funzionato in quegli istituti travolti dall’epidemia? Avere un quadro preciso della situazione, anche per evitare generalizzazioni, è di fatto impossibile.
Ci sono responsabili di case di riposo che, interpellati dai media, rispondono. Altri che non rispondono oppure rispondono in modo volutamente approssimativo: un imbarazzato od omertoso silenzio che inevitabilmente alimenta sospetti.
Restano quindi i dati complessivi appresi dalle conferenze stampa sull’allarme Covid-19 tenute dal governo e dallo Stato maggiore cantonale.
Si chiede un'analisi, doverosa, per capire, risolvere i problemi (per esempio quello degli asintomatici) e introdurre correttivi. Come ha dichiarato la presidente della deputazione ticinese a Berna Marina Carobbio, dobbiamo “imparare dalle esperienze di queste settimane, anche analizzando criticamente quanto fatto e quanto non fatto, in modo da essere pronti per il futuro”.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)