Fausto Cuoghi è l’autore de “La speranza ha i colori dell’arcobaleno. La pandemia nei racconti di uomini e donne con i capelli bianchi”, una raccolta di esperienze del mondo degli anziani durante la pandemia. I 49 protagonisti sono donne e uomini emiliano-romagnoli over 65. Alcuni con un passato di impegno politico, altri no. Molti con un presente da nonni, nessuno in struttura. Cuoghi ha raccolto le loro storie, scritte d’impeto, senza alcuna modifica. Ci sono ripetizioni, parole libere. Come se il lettore avesse l’impressione di trovarsi di fronte, in diretta, a quel narratore, impegnato in riflessioni a ruota libera. Per esempio, ha scelto di mantenere la ‘C’ maiuscola con cui tutti gli anziani scrivevano ‘Coronavirus’ che, in quanto nome comune, dovrebbe essere scritta con la minuscola, perché dalle narrazioni emerge che nella scelta della maiuscola ha pesato la volontà di enfatizzare il nome del morbo per evidenziarne l’entità e l’importanza per la salute. Non solo: rappresenta il distanziamento, il ‘Lei’, anziché il ‘tu’. Da qui la scoperta che l’uso della maiuscola sancisce, più o meno consapevolmente, l’importanza nefasta del significato, una sorta di torre da cui il virus spicca il volo per entrare nel corpo da porte di accesso rivelatesi fragili e scarsamente difese.
Dai racconti degli anziani emerge preoccupazione, alimentata anche dal continuo insistere dei media e dell’opinione pubblica sul loro essere ‘categoria più colpita’, ‘categoria più a rischio’. C’è chi racconta la propria esperienza da positivo ricoverato in ospedale, il giorno in cui il coetaneo vicino letto è stato coperto da un lenzuolo bianco. C’è chi scrive delle difficoltà a vivere con tante restrizioni alle libertà, c’è chi si trova spaesato senza la routine, fatta di due chiacchiera al bar, un salto in edicola, il giornale rigorosamente di carta da sfogliare. L’invito a rimanere a casa ha inevitabilmente avuto come conseguenza un inasprimento dell’isolamento sociale. Ma, se volessimo fare una classifica, sicuramente il tema più ricorrente è il non poter giocare con i nipoti.
“I racconti, conclude l’Autore, confermano che per chiudere questo capitolo, occorre ridare fiducia alla gente. È il momento di abbandonare l’individualismo e ricostruire legami di comunità, magari partendo dai nostri vicini di casa che sono uguali a noi e, come scrive uno dei 49 autori, ‘non hanno tre nasi e i tentacoli’. Emerge un quadro di persone anziane per nulla rassegnate, convinte che alla fine di una strada buia tornerà a splendere l’arcobaleno. Perciò, ben venga la ripartenza economica, ma l’invito è a pensare anche a quella sociale e culturale”.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)