Crescono le forme di sfruttamento e del lavoro irregolare nel settore domestico: false cooperative, agenzie di somministrazione senza autorizzazione, stranieri che si improvvisano “ufficio di collocamento” per i connazionali. Anche le famiglie diventano vittime di queste nuove modalità di caporalato e della scarsa lungimiranza della politica che non riesce a dare una risposta sul piano fiscale all’invecchiamento progressivo che deve affrontare il welfare. Oltre alle truffe si debbono comunque fare i conti con le scarse disponibilità finanziarie delle famiglie. Dalla ricerca “Viaggio nel lavoro di cura”, promossa nel 2017 dalle Acli Colf, emerge che il 33, 9% delle badanti coinvolte in mansioni di piccola assistenza medica e para infermieristica (cosa vietata) lavora “in nero”. Dati confermati e peggiorati da Assindatcolf, l’associazione che riunisce i datori di lavoro domestico, che colloca 1,2 milioni di lavoratori del settore (il 60%) senza versamenti per la previdenza né denuncie al fisco. Anche perché la deducibilità dei contributi e una detraibilità degli stipendi decrescente in base al reddito delle badanti si annulla a quota 40mila euro con un massimo di 399 euro, quando i costi totali per una badante in regola superano i 15mila euro l’anno. Nel decreto sul Reddito di cittadinanza, inoltre, è stato respinto un emendamento che avrebbe incluso le famiglie tra i datori di lavoro che beneficeranno di un bonus se assumono un disoccupato, titolare di sussidio. Non favorendo così l’assunzione di disoccupati nel comparto dei lavoratori domestici, dove non manca l’offerta.
(Sintesi redatta da: Balloni Flavia)