Gli episodi di violenza verso pazienti anziani, disabili e bambini da parte di coloro che dovrebbero prendersi cura di loro solleva interrogativi inquietanti. Non si ignori però la presenza di servizi e operatori che offrono, invece, risposte di qualità eccellente, di alta professionalità, e attenzione alle relazioni. È importante la selezione accurata degli operatori, un controllo costante sulle loro attività, una formazione continua per favorire la crescita professionale e mantenere viva la motivazione.
La zona grigia delle fragilità, che a volte possono sembrare invisibili, si fa sempre più variegata. Forme inedite di disagio chiedono nuove risposte. Gli interventi attivati dal sistema dei servizi (dove ci sono) rivolti ai soggetti appartenenti alle categorie tradizionalmente fragili (anziani, malati, disabili, tossicodipendenti, immigrati) sono sempre meno in grado di corrispondere a tutta l'eterogeneità delle nuove vulnerabilità. Il sistema di welfare è chiamato a modificarsi e gli operatori a farsi carico anche di nuove quotidiane frontiere del disagio e delle difficoltà: dalla solitudine alle violenze domestiche, dallo stalking alle preoccupazioni abitative, dalle problematiche legate alle migrazioni a tutte le diverse forme di esistenze ferite.
Oggi è diventato urgente ripensare la differenza tra curare e aver cura. All’aspetto medico va affiancato un percorso educativo e sociale, con la sollecitudine autentica che si fonda sulla relazione. La cura dell'altro ha bisogno di competenze professionali solide, ma anche di un atteggiamento moralmente responsabile verso il diritto alla cura.
Curare senza aver cura è il paradosso che rende anonime le strutture dei servizi, e può persino farle diventare disumane come nei casi che arrivano alle cronache.
(Fonte: tratto dall'articolo)