Serve una mano per spazzare la neve, accatastare la legna o fare pulizie di giardinaggio? A Berceto ci pensano i rifugiati inseriti nei percorsi Sprar gestiti dal Consorzio Fantasia. Siamo sull’Appennino parmense, in un paese di poco più di 2 mila abitanti: in Emilia-Romagna è il primo centro in montagna che porta avanti progetti legati al Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati. Il “Laboratorio Aiuti” nasce così, da un’idea dei profughi accolti che volevano ricambiare in qualche modo l’ospitalità. “Abbiamo inventato il Laboratorio Aiuti per aiutare gli italiani in difficoltà facendo conoscere anche i beneficiari dei nostri servizi – spiega Maria Molinari, referente del consorzio –. Cercando di far capire che sono persone come noi e che spesso hanno alle spalle storie tragiche. L’intenzione di questo laboratorio è far capire che gli immigrati che creano problemi sono pochissimi, mentre quasi tutti vogliono integrarsi ed essere una risorsa per il paese”. I destinatari del servizio sono anziani, disabili, donne incinte o con bambini piccoli, persone che vivono isolate: al consorzio la responsabilità di accettare o declinare la richiesta d’aiuto, e un operatore è sempre presente al momento dell’incontro. “Non è una semplice fornitura di un servizio: noi vogliamo che le persone parlino tra loro. Cerchiamo di favorire l’instaurarsi di una relazione”. Capita allora che, dopo avere sparso il sale per evitare la formazione di ghiaccio o dopo avere spalato la neve – i lavori più pesanti che gli anziani fanno fatica a fare – ci si fermi a casa di chi ha richiesto l’intervento per un caffè e un pasticcino: “Un giorno accompagnai un rifugiato eritreo a casa di una signora che chiedeva che le fossero tolte le erbacce dal vialetto. Ci siamo fermati un po’ di più, e la donna ha cominciato a raccontare la sua infanzia ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il ragazzo è restato impressionato: anche lui era sopravvissuto a una guerra. Un argomento in comune che ha dato vita a molte chiacchiere. E per la prima volta ha dato al giovane la possibilità di conoscere l’Italia sotto un altro punto di vista, quello del dolore”.
(Fonte: tratto dall'articolo)