Un lavoro pubblicato su Biomedcentral Public Health da Oliver Kennedy e colleghi delle Università di Southampton ed Edimburgo prende le difese del caffè. I ricercatori hanno selezionato circa mezzo milione di persone, di età compresa tra i 40 e i 69 anni, delle quali erano noti una serie di dati sanitari e senza patologie epatiche di base.Tra questi, oltre 380 mila si definivano consumatori di caffè (in media due tazze al giorno) e circa 110 mila non consumatori di caffè. Il loro stato di salute è stato monitorato per oltre dieci anni e l'attenzione degli autori si è concentrata in particolare sul rapporto tra il consumo di caffè di qualunque tipo (decaffeinato, macinato, compreso l'espresso, o l'istantaneo) e comparsa di malattie del fegato (steatosi epatica, cirrosi, epatopatie croniche, carcinoma epatocellulare). I risultati sono stati sorprendenti, considerata la cattiva fama che circonda questa bevanda quando si parla di salute del fegato.
I bevitori di caffè presentavano rispetto agli altri un rischio ridotto di malattie croniche del fegato (- 21%), di fegato grasso (-20%), di mortalità per epatopatie croniche (-49%) e per epatocarcinoma (-20%). Non sono emerse differenze sostanziali rispetto al tipo di caffè consumato (anche se l'effetto protettivo maggiore si è osservato con il caffè macinato, preparato sia come caffè americano, che come espresso), mentre i benefici del caffè sono risultati proporzionali alla quantità consumata. Ma, solo fino ad un massimo di tre-quattro tazze al giorno, limite al di sopra del quale non si osserva un beneficio ulteriore. Alla luce di questi risultati, gli autori concludono che bere caffè ha un effetto protettivo contro le malattie croniche del fegato. E, visto il numero crescente di persone affette da queste malattie in tutto il mondo, ipotizzano dunque un ruolo potenziale di questa bevanda come intervento sulla popolazione, al fine di prevenire o rallentare la progressione delle epatopatie croniche.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)