Una ricerca condotta dall’Hinda and Arthur Marcus Institute for Aging Research, istituto di ricerca statunitense, mette in luce come negli studi clinici vengono inclusi pochi anziani e – addirittura - nel caso della ricerca sui vaccini praticamente nessuno.
L’esclusione è spesso una forma di tutela della persona con più di 65 anni, che frequentemente ha altre patologie o comunque non possiede i requisiti per partecipare ai trial. Ma la scarsa rappresentazione di questo gruppo è un controsenso, dato che è il più colpito e quello su cui si dovrebbe concentrare buona parte degli sforzi della sperimentazione.
L’indagine è pubblicata sul Journal of the American Medical Association Internal Medicine.
I ricercatori hanno analizzato le pubblicazioni usciti nel periodo 1 ottobre 2019 – 1 giugno 2020 inerenti l’infezione Covid-19 e presenti su Clinicaltrials.gov, il registro gestito dai National Institutes of Health statunitensi.
Dall’indagine è emerso che in media, gli anziani sono esclusi dal 50% degli studi clinici sul coronavirus e dal 100% delle sperimentazioni dei vaccini.
“Siamo preoccupati – spiega Sharon K. Inouye, coautrice dello studio– che la mancata inclusione degli anziani possa sistematicamente limitare la nostra abilità di valutare efficacia, dosaggio e reazioni avverse ai trattamenti anti Covid-19 in questa popolazione”.
Far partecipare gli anziani, infatti, serve non solo a garantire l’efficacia del farmaco oggetto di studio ma anche a mettere a punto la giusta dose, che può cambiare a seconda di diversi elementi, inclusa l’età, e gli effetti collaterali.
Ovviamente “per essere sicuri alcune esclusioni sono necessarie per tutelare la salute e la sicurezza delle persone anziane – ad esempio nel caso della presenza di comorbilità difficili da tenere sotto controllo”, ha dichiarato la ricercatrice. “Tuttavia, numerosi casi di esclusione invece non sono ben motivati e sembrano frutto di una scelta di utilità o di convenienza degli sperimentatori”.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)