Le coabitazioni descritte nel libro sono basate sulla condivisione di appartamenti e spazi domestici (stanza, cucina, bagno, arredi ecc.) secondo un progetto abitativo definito da organizzazioni del Terzo Settore (gestori sociali) e rivolto a soggetti che si trovano, generalmente, in condizioni di disagio socio-abitativo o a soggetti che non necessariamente ricadono in questa situazione, ma che stanno vivendo una fase di transizione.
Differiscono dalle iniziative di cohousing con cui spesso vengono confuse, poiché, come spiegano Giuliana Costa (nell’introduzione del volume e nel capitolo 1) e Chiara Lodi Rizzini di Secondo Welfare (nel capitolo 2), esse prevedono la condivisione di spazi domestici e non solo pertinenziali (scale, giardino, parcheggio, sale per svago ecc.) in una logica di iper-prossimità.
Inoltre, in esse l’intenzionalità, tipica delle comunità che realizzano cohousing, viene mediata da organizzazioni del terzo settore e quindi perde il suo carattere spontaneistico. Lo spazio di autogestione degli abitanti è definito non da loro stessi, ma da organizzazioni terze, che hanno un peso determinante nell’avviare o chiudere il percorso di coabitazione in caso di problemi.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)