A Genova la linea che separa precarietà e povertà, nei quartieri una volta degli operai, è stata superata da migliaia di italiani e stranieri accomunati dai colpi duri della pandemia, che non ha risparmiato famiglie e anziani soli. Soprattutto le donne, spesso madri di nuclei con genitore unico o tornate a mantenere figli adulti con la pensione.
Il quadro generale genovese lo dipinge Lucia Foglino, responsabile dei 34 centri di ascolto Caritas diocesani. «Chi si è rivolto a noi subito, oltre ai precari, arrotondava magri salari o l’invalidità il reddito di cittadinanza con il lavoro nero domestico. All'inizio abbiamo risposto soprattutto con buoni alimentari della diocesi da 10 euro per circa 75 mila euro. Erano soprattutto stranieri, i più esposti. Oltre alle 500 persone, al 70% nuove, che hanno chiesto aiuto ai parroci per mangiare, sono arrivati altri 200 cassintegrati cui non arrivavano i soldi e che avevano finito i risparmi. In tutto penso che dovremo aiutare 6.500 persone, almeno un terzo nuove e molti poveri usciti dalla spirale della fame, i “ripoveri”. Tra questi soprattutto i disoccupati 40-50 enni, magari con un divorzio alle spalle, che vivono con la pensione dei genitori».
«I nuovi poveri italiani si vergognano, non si mettono in fila – afferma Maurizio Scala di Sant’Egidio – allora abbiano organizzato la distribuzione anche a domicilio con i volontari soprattutto per gli anziani. Alcuni di loro non si possono muovere e abitano in palazzi senza ascensore. C’è chi, tra i pensionati, ci ha chiesto vergognandosi di avere una fetta di carne che non si poteva permettere da mesi».
(Sintesi redatta da: Linda Russo)