Ogni anno in Italia sono colpiti da ictus circa 150 mila persone, e spesso, grazie al rapido intervento dei sanitari, si salvano.

Ma circa la metà dei sopravvissuti si trova con problemi di lieve entità che comunque possono compromettere l’autonomia o peggio. Per questo ci sono delle tecniche di recupero post evento, che inizia (o almeno dovrebbe) durante il ricovero in ospedale, nei Centri ictus (Stroke unit) o Unità neurovascolari.

Iniziare già nella fase acuta la riabilitazione comporta una maggiore possibilità di ripresa per il malato. Però occorre un'equipe multidisciplinare, che comprenda, oltre a fisiatra, neurologo e infermieri esperti di ictus, almeno il fisioterapista e il logopedista. Per proseguire la riabilitazione poi il paziente con un livello di disabilità lieve può tornare a casa e fare riferimento ai centri di riabilitazione ambulatoriale o farla a domicilio. Nei casi più gravi (e sono la maggior parte) i pazienti sono trasferiti nelle strutture riabilitative di idonee ai loro bisogni di recupero.

Chi ha non ha bisogno di un trattamento intensivo (o non è in grado di sopportarlo, come spesso capita agli anziani) va in strutture di riabilitazione di tipo «estensivo» (un’ora al giorno, 6 ore settimanali). Gli altri accedono a luoghi di riabilitazione «intensiva» (cosiddetto codice 56), dove gli interventi sono almeno di tre ore al giorno (18 ore settimanali). Infine i casi più complessi sono ricoverati in strutture di neuroriabilitazione ad alta specialità (codice 75), con trattamenti di almeno sette ore al giorno. Però spesso non ci sono posti nei centri e in alcune Regioni il malato è gestito sia nella fase acuta che in quella di riabilitazione da un unico team di vari professionisti. Un paziente può essere dimesso con ancora il bisogno di terapia di mantenimento da effettuare al suo domicilio, ma spesso manca l'assistenza sul territorio e il malato deve rivolgersi, se può permetterselo, al privato.