Si aspetta quel momento con tanta frenesia, aspettando la pensione si fanno progetti e si libera la fantasia, il tempo da dedicare agli hobby, alle vacanze e a tutto quello che l'impegno lavorativo non permetteva di fare.
Quel giorno cambia tutto. La sveglia non suona più, non si devono più rispettare orari, basta viaggi in per andare al lavoro, decade la routine ma al tempo stesso si perdono i contatti con i colleghi, la colazione al bar e tutti quei contatti quotidiani che erano diventati parte integrante della giornata lavorativa.
Passare da «ero/facevo l’impiegato, il medico, il commesso o l’insegnante» a un generico «pensionato» è un cambiamento che deve essere metabolizzato. «È una fase di ricostruzione dell’identità da non improvvisare, del resto invecchiare è un processo che inizia quando siamo in piena maturità» avverte Erika Borella, docente di Psicologia dell’invecchiamento all’Università di Padova e referente della Scuola di Specializzazione universitaria in psicologia della Salute. «Solo affiancando al lavoro, che per molti è un elemento centrale della vita, interessi e progetti che permettano di realizzarsi in diversi ambiti, si può invecchiare bene». Ma è l’opposto che spaventa. Quel timore di «invecchiare male» che tiene ancorati alla scrivania con il dubbio: la pensione incide sulle capacità mentali?
Di sicuro passare da una vita troppo piena al relax può essere un trauma con effetti sul tono dell’umore e non solo. «Quando l’ambiente è meno ricco di stimoli, abilità mentali e cervello ne risentono. Se portiamo avanti principalmente attività routinarie, acceleriamo l’invecchiamento. Al contrario, se ci manteniamo attivi (anche a livello sociale) risentiremo meno dei cambiamenti fisiologici, e ci sentiremo meglio» risponde Borella. «Per questo è fondamentale un ambiente stimolante e l’abitudine di misurarsi con attività diverse e nuove, che ci mettano di fronte alle piccole “sfide cognitive” che favoriscono, poi, la neurogenesi.
La società non è amica degli anziani, ma all’idea di sottofondo che rende accettabile solo chi è giovane, bello, performante, si possono contrapporre i valori esclusivi dell’età matura, come ricorda Borella: «Gli anziani riescono a regolare le proprie emozioni, a differenza dei giovani, chi ha più di settant’anni in media riporta, poi, un maggior benessere psicologico rispetto ai nipoti 20enni». Si potrebbe dire una rivincita della vita, anche se gli scienziati delle università di Melbourne (Australia) e di Warwick (Gb) che l’hanno osservata preferiscono chiamarla La Curva a U della felicità: il benessere psicologico è alto intorno ai 20 anni, c’è una deflessione tra i 40 e i 50 anni (la crisi di mezza età) per poi risalire toccando il massimo tra i 60 e i 70 anni. Giusto all’età in cui si va in pensione.
(Sintesi redatta da: Righi Enos)