L’invecchiamento della popolazione e la denatalità riducono il numero di giovani in grado di integrare la perdita di forza lavoro in Europa. Gli ultimi saldi naturali negativi (differenza tra nati e morti) di Germania e Italia collocano queste nazioni, rispettivamente con -190.000 e -148.000 persone, in cima alla lista dei paesi Ue più in crisi a livello demografico. Grazie alla politica migratoria messa in atto, la popolazione tedesca, nel 2017, è cresciuta di 328.000 unità; quella italiana è diminuita, nello stesso anno, di 105.000 unità. La riforma della legge sull’immigrazione all’esame del Parlamento di Berlino apre all’immissione di forza lavoro dall’esterno . Prevede l’introduzione di un permesso di soggiorno di sei mesi per ricerca lavoro, a determinate condizioni (livello di educazione, età, competenze linguistiche, offerte di lavoro e sicurezza finanziaria). Il nuovo strumento, nelle intenzioni del governo di Berlino, punta a rispondere ai fabbisogni produttivi dell’economia tedesca; a separare i percorsi dell’asilo e della migrazione economica ( riducendo l’uso improprio dello strumento della protezione internazionale) e ad accelerare le procedure di asilo dei rifugiati integrandoli nel mercato del lavoro tedesco. La Germania, rispetto all’Italia, ha però due punti di forza: un efficiente sistema informativo del lavoro (che segnala ad oggi almeno 750 mila posti vacanti) e un efficace impianto di monitoraggio degli indicatori di integrazione. In Italia l’ultimo rapporto sul tema è stato fatto dal Cnel nel 2013 (dati 2011). In Germania, l’Ufficio federale di statistica ha elaborato indicatori di integrazione che monitora costantemente sul sito web dell’Ufficio federale per l’immigrazione e l’asilo (Bamf).
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)