Uno studio condotto presso il Centro Parkinson dell’ASST Pini-CTO di Milano, mostra che le persone affette da Parkinson non sono maggiormente esposte al rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2, ma hanno espressione di sintomi, quadri clinici ed esiti di mortalità addirittura più lievi.
Lo studio ha coinvolto 1486 pazienti afferenti al Centro Parkinson dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano con una diagnosi clinica di malattia di Parkinson e residenti in Lombardia, e 1207 familiari utilizzati come gruppo di controllo.
Le differenze riscontrate nei quadri clinici generali sono state riferite a un minor tasso di difficoltà respiratoria e a una percentuale inferiore di ospedalizzazioni nei pazienti con malattia di Parkinson. Il dato più interessante ottenuto dallo studio riguarda la carenza di vitamina D3 e la mancata supplementazione di supporto come elemento di rischio.
Dal confronto intergruppo effettuato nel corso dello studio, è emerso che i pazienti parkinsoniani affetti da COVID-19 avevano una supplementazione inferiore rispetto ai pazienti che non hanno contratto l’infezione. E’ noto come la vitamina D sia in grado di ridurre il rischio di infezione, attraverso una serie di meccanismi, tra i quali la riduzione delle citochine infiammatorie che si innalzano notevolmente nel caso di COVID-19.
I risultati della ricerca attendono di essere confermati da altri studi che tengano in conto di fattori confondenti quali l’esposizione alla luce solare ele abitudini alimentari. La relazione tra vitamina D e malattia di Parkinson rimane un campo di indagine ancora aperto: è infatti noto che bassi livelli di vitamina D siano in qualche modo associati al deterioramento cognitivo e allo sviluppo della malattia di Parkinson in forma più severa, anche se non si ha ancora l’assoluta certezza del suo ruolo e se essa sia una causa, o piuttosto un effetto, del deterioramento cognitivo spesso associato alla patologia.
(Sintesi redatta da: Macheda Maria Gabriella)