Giovanni Frisoni, responsabile del Laboratorio di neuroimaging ed epidemiologia dell’Alzheimer dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia e ordinario di neuroscienze cliniche all’Università di Ginevra spiega a cosa è dovuta la patologia «La causa prima è nota solo nell’1% dei pazienti, che sono portatori di una mutazione genetica che provoca la malattia. Per gli altri casi ci sono solo ipotesi e alcune linee di ricerca. Per esempio un nostro studio recente suggerisce un ruolo del microbiota intestinale. Quello che ormai è chiaro è che la degenerazione della corteccia cerebrale è legata a due proteine chiamate beta amiloide e Tau: vengono prodotte normalmente dal cervello, ma a un certo punto iniziano ad accumularsi, portando alla distruzione dei neuroni, che a sua volta causa la perdita di memoria e di autonomia.Inoltre questo tipo di meccanismo accomuna molte malattie neurodegenerative, tra cui, per esempio, il morbo di Parkinson. Ciò che cambia è la proteina che si accumula nel cervello». Ci sono diversi modi in cui si manifesta la malattia, primo campanello d’allarme la perdita di memoria che porta progressivamente anche a problemi col linguaggio. Nella maggior parte dei casi la diagnosi arriva 2 anni dopo l’esordio. Quando la malattia è ancora all’inizio si possono usare per contrastarla gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, in caso di gravità moderata-severa si può ricorrere alla memantina o altri medicinali che aiutano a controllare sintomi. Dalla ricerca stanno arrivando anche dei nuovi farmaci, in particolare aducanumab, un anticorpo monoclonale, che riduce le placche di beta amiloide.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)