Raffaele Virgilio, psicologo e psicoterapeuta propone una spiegazione alla domanda “Cosa vuol dire essere anziani?”.
Sono tanti i luoghi comuni da sfatare su questa fase della vita che viene vista in maniera angosciante solo quando ci si rapporta al tempo, con riferimenti cronologici: la velocità che caratterizza ormai il vivere dei nostri tempi, ci fa identificare con la lentezza ciò che è vecchio e con la frenesia ciò che è giovane. Come se la lentezza fosse una pregiudiziale ai fini della vita, utilizzandola come parametro per mettere da una parte i vecchi in quanto lenti, e dall’altra i giovani.
Le persone anziane non vivono di emozioni? La dimostrazione più lampante, è l’attaccamento che i bambini sviluppano nei confronti di essi; i bimbi vivono con loro una maggiore libertà espressiva, come se si sentissero riconosciuti nei loro bisogni, che solo chi va di fretta tende a non vedere. Un “qui ed ora” che, come concezione temporale, la persona anziana rifiuta, perché legata sentimentalmente a tutto quello che la circonda, dalle amicizie alle abitudini che, organizzate secondo le proprie modalità, costituiscono la propria identità, rafforzata negli spazi conosciuti e familiari. Quando questi riferimenti vengono persi, provocano un senso di smarrimento, che può essere recuperato quando si comincia a diventare “abitante” di quegli spazi nuovi che diventeranno i propri quando ci sarà qualcuno pronto ad accogliere, con il proprio calore, il bisogno di riconoscimento che va oltre gli spazi abitativi che a volte possono non sembrare abitazioni.
(Fonte: tratto dall'articolo)