Giangi Milesi dal 2019 è alla guida della Conferedazione Parkison Italia, alla quale aderiscono 25 associazioni di volontariato, indipendenti, che coinvolgono oltre diecimila persone con questa malattia, i loro familiari e caregiver.
“Ho scoperto di avere il parkinson a 63 anni, nel 2017 - racconta -. Per me è stata come una liberazione, da tempo combattevo contro una depressione da cui non riuscivo ad uscire. La psicologa, ad un certo punto, mi ha suggerito di fare degli accertamenti perché c'era qualcosa che non tornava. Ed è venuto fuori che l'origine della mia depressione, e di altri piccoli disturbi come la mancanza di olfatto, avevano origine nel parkinson. Ho cominciato le cure e la depressione è passata”.
“Ho deciso di parlare a tutti della mia malattia - aggiunge -. Purtroppo molti cercano di tenerla nascosta almeno all'inizio, perché hanno paura di perdere il lavoro o gli amici. Sono invece convinto che dobbiamo imparare a convivere con la malattia, anche chi ci circonda deve impararlo. Con le cure attualmente disponibili è possibile avere una buona qualità di vita, soprattutto nei primi anni di malattia. Si può continuare a lavorare, ad esempio”.
Fino al 27 settembre al Piccolo Teatro di Milano è visitabile la mostra “Non chiamatemi morbo”, in cui sono raccontate 22 storie di persone con malattia di Parkinson protagoniste delle fotografie di Giovanni Diffidenti, raccolte nel volume edito da Contrasto.
“Sono storie di persone che hanno reagito alla malattia - aggiunge Giangi Milesi -. Per esempio, io ho sopperito alla difficoltà di trovare le parole mentre parlo dando più spazio alla scrittura”.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)