La pandemia ha messo in evidenza e a volte amplificato, le tante falle nel sistema e di cura e di assistenza rivolto alle persone con demenza e alle loro famiglie. Soprattutto la sospensione di tanti servizi sanitari e socio-sanitari tra marzo e giugno 2020, ha generato reazioni a catena che in molti casi hanno peggiorato in maniera permanente situazioni già di per sé difficili. Anche gli ospiti delle Rsa hanno vissuto e stanno ancora vivendo enormi difficoltà di adattamento a questa nuova realtà. I pazienti con deficit cognitivi sono certamente in grado di rendersi conto dei cambiamenti nel loro contesto di vita, dagli atteggiamenti del personale alla mancanza di visite e attività quotidiane.
In sostanza il distanziamento sociale ha rappresentato una ulteriore barriera di accesso tra le persone con demenza e la società, tra gli operatori e le famiglie. E questo nonostante gli sforzi condotti da alcune realtà di trasferire il piano di interventi su un livello più tecnologico affidandosi al digitale e alla rete. Dalla pandemia scaturisce una opportuna riflessione: è giunto il momento di scegliere se continuare a trattare gli anziani – affetti o meno da demenza - con paternalismo, oppure orientare la società a riconoscere la dignità e i diritti fondamentali delle persone a prescindere dall’età e dal livello di autosufficienza.
Un altro aspetto da cogliere è che non tutti sono raggiungibili dalle tecnologie digitali. Gli anziani hanno bisogno di sistemi di comunicazione e supporto analogici. Ostinarsi a comunicare tutto via web significa tagliarli fuori dal sistema di informazioni, assistenza e cure. Un ultimo appello riguarda le famiglie: molte realtà pubbliche e private nei mesi scorsi hanno attivato centri di ascolto e di supporto psicologico, ma non sono state attivate altrettante risorse per sollevarle dall’impegno di cura derivante dalla non-autosufficienza.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)