I contatti umani sono letteralmente cibo per il nostro cervello, che nella solitudine e nell’isolamento reagisce come quando abbiamo fame: si attivano le stesse aree e soffriamo come se fossimo privati di un sostentamento indispensabile alla vita. Lo dimostrano i dati di studi recenti discussi in occasione del XXII congresso nazionale della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia, in corso fino al 29 gennaio: la ‘fame’ di socialità connessa al distanziamento fisico e alle quarantene imposte per il contenimento del contagio da SARS-Cov-2 ha effetti diretti sul funzionamento del cervello, ma soprattutto conseguenze negative sul benessere mentale.
L’indagine, pubblicata su Nature Neurscience, è stata condotta su volontari rimasti a digiuno per dieci ore o deprivati di qualunque contatto umano, reale o virtuale, per altrettanto tempo; l’analisi del cervello con risonanza magnetica nucleare funzionale ha dimostrato che in entrambi i casi si attiva la substantia nigra, una piccola area cerebrale coinvolta nel desiderio di cibo e, quindi, anche di socialità. Un cervello privato dei contatti umani perciò soffre e la solitudine, infatti, è causa di un caso di depressione su 5: anche per questo gli esperti temono un incremento consistente del numero dei pazienti nel prossimo futuro. Già oggi, in circa 600 mila dei 3 milioni di persone con depressione l’isolamento potrebbe essere il motivo scatenante o aggravante del disagio mentale.
Secondo il Rapporto ISTAT 2018 il 40% degli over 75 non ha nessuno a cui rivolgersi in caso di bisogno e proprio i più anziani sono ora costretti a stare lontani dagli altri per proteggersi dal contagio. Un’indagine sugli over 50 pubblicata su The Lancet Psychiatry ha dimostrato che almeno un caso di depressione su 5 è direttamente provocato proprio dall’isolamento sociale e dalla solitudine che ne deriva.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)