Nel 1628 il medico inglese William Harvey, primo a descrivere il sistema cardiocircolatorio dell'uomo, chiariva lo stretto rapporto che lega mente e cuore. Oggi siamo bravi nel trattare le malattie, ma molto meno attenti nel trattare i pazienti e spesso incapaci di trattare le persone: utilizziamo medicine all'avanguardia, ma prestiamo poca o nulla attenzione allo stato psicologico delle persone che curiamo.
Eppure, proprio il cuore è uno degli organi maggiormente in relazione col cervello: la frequenza cardiaca, ad esempio, cambia in base allo stato psicologico ed emozionale. Nel cuore ci sono oltre 40.000 neuroni e le informazioni che vengono da questi raccolte sono indirizzate al cervello innescando reazioni che si ribaltano a loro volta sul sistema cardiovascolare. Ad esempio, i pazienti depressi dopo un infarto vanno più facilmente incontro a recidiva rispetto a quelli non depressi. La perdita di autostima diventa un killer per le malattie coronariche, mentre un atteggiamento ottimistico è stato in vari studi correlato a più basse percentuali di ospedalizzazioni e ridotta mortalità.
(Sintesi redatta da: Linda Russo)