Sono quasi 3 i miliardi del Pnrr da spendere nei prossimi quattro anni per portare le cure a casa al 10% degli over 65 in Italia: si tratta di quasi 1,4 milioni di italiani, contro i soli 400mila di oggi. Ma la corsa alle cure domiciliari rischia un flop innanzitutto perché il personale sanitario è introvabile già negli ospedali - tra calo delle vocazioni e tetti di spesa - e poi perché solo una decina di Regioni sono in regola con l’accreditamento che potrebbe aprire le porte ad enti privati e cooperative che già da anni sono protagoniste dell’Adi (l’Assistenza domiciliare integrata).
Lo sblocco dei fondi per le cure a casa arrivano in tempi magrissimi per la Sanità, con le Regioni che hanno appena preso carta e penna per sollecitare il ministro Schillaci e il Governo a riaprire i cordoni della borsa - dopo la breve parentesi degli investimenti straordinari imposti dal Covid - a favore di un Servizio Sanitario Nazionale altrimenti a rischio collasso tra mancanza di risorse e di personale. Perciò i 2,7 miliardi arrivati dopo tanti rinvii a fine 2022 grazie all’intesa Stato-Regioni per potenziare le cure in Adi rappresenterebbero una boccata d'ossigeno da cogliere al volo.
Il decreto di riparto però mette paletti precisi vincolando l’erogazione delle risorse al raggiungimento di obiettivi intermedi di popolazione assistita - anno per anno - fino a metà 2026 (scadenza del Pnrr) quando si dovrà raggiungere il target del 10% di over 65 curati a casa. E così già nel 2023 le Regioni per avere il 50% delle risorse stanziate per quest’anno dovranno dimostrare di aver aggiunto 296mila over 65 in più curati a casa - dai 41mila della Lombardia ai 1.391 del Molise - e il prossimo anno ben 525mila fino appunto arrivare agli 808mila del 2026. Un impegno non da poco se si pensa che l'Italia è storicamente fanalino di coda in Europa nelle cure a casa e parte da un modestissimo 2,9% di anziani assistiti - con 16 ore in media di assistenza per persona all'anno mentre ne servirebbero almeno 20 al mese ciascuno - a fronte ad esempio del 15,6% della Germania che è in cima alla lista.
Poi c’è il grande tema della carenza di personale: centro delle prestazioni a domicilio dovrebbe essere l'infermiere di famiglia, ma considerando che oggi ne mancano all'appello almeno 70mila e che la professione dopo lo shock da pandemia ha perso rapidamente appeal con un conseguente calo delle iscrizioni ai corsi universitari, il domani delle cure domiciliari si profila ancora più fosco. Terzo fattore, di certo non in ordine di importanza, è il mancato recepimento in metà delle Regioni dell'Intesa che il 4 agosto 2021 aveva fissato i requisiti ti per l'accreditamento delle cure domiciliari a operatori pubblici e privati, in attuazione della legge di Bilancio 2021: al momento l’avrebbero fatto Lombardia, Sardegna, Puglia, Calabria, Abruzzo, Lazio, Umbria, Piemonte, Sicilia e Basilicata.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)