Le cure palliative non riguardano solo la malattia oncologica, ma tutte quelle situazioni di inguaribilità, quelle malattie croniche accomunate da un medesimo destino: dolore e sofferenza, con conseguente fragilità psico-fisica e sociale. Non si ha quindi come scopo la guarigione oppure di accelerare o ritardare la morte, ma solo di alleviare il dolore, di renderlo sopportabile, di migliorare più che si può la qualità della vita restante del paziente che ha grandi sofferenze.
Ci sono però ancora molti pregiudizi intorno a queste pratiche. Quindi vogliamo parlare con chi se ne occupa ogni giorno. Incontriamo il Walter Tirelli, antalgologo palliativista, responsabile dell’Ambulatorio Terapia del Dolore dell’Hospice Fondazione Sanità e Ricerca di Roma.
"A causa della grande incertezza sulla trasparenza e disponibilità delle strutture sanitarie, carenti, di erogare servizi che tengano conto dei bisogni effettivi della popolazione, ciò che viene richiesto non corrisponde allo stato di bisogno effettivo esistente soprattutto nel settore della terapia del dolore. Alcuni provvedimenti legislativi hanno espresso la volontà di supportare la programmazione e la realizzazione di una rete di terapia del dolore di cui sono stati recepiti gli standard e i requisiti minimi assistenziali. La legge 38 del 15 marzo 2010, “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, rappresenta una svolta epocale, che precisando la distinzione tra dolore e cure palliative sottolinea la centralità del malato. In entrambi i casi la legge definisce i requisiti minimi e le modalità organizzative necessarie per l’accreditamento delle strutture dedicate alle cure palliative e alla terapia del dolore, e risponde all’esigenza primaria di fornire cure adeguate ai bisogni dei malati e delle famiglie, per ogni età e in ogni luogo di cura, garantendo equità nell’accesso ai servizi e qualità delle cure nell’ambito dei Lea".
(Fonte: tratto dall'articolo)