I pazienti in condizioni particolarmente gravi e senza possibilità di guarigione che considerano l’ipotesi di morire prima che la malattia faccia il suo corso hanno il diritto di poter contare su cure palliative, terapia del dolore e assistenza sanitaria all’altezza delle loro necessità. Lo Stato italiano si è impegnato 10 anni fa con la legge 38 (“Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, approvata il 15 marzo) a rendere operativo quello che all’articolo 1 ha definito un “diritto del cittadino”. Un Paese che invecchia rapidamente, con esigenze sanitarie e assistenziali crescenti in proporzione, deve avere come priorità un’offerta di cure specifiche per la sempre più lunga fase di declino fisico. Un problema condiviso con tutto il mondo sviluppato, ma un po’ dovunque si registrano dibattiti per introdurre il "diritto di morire", come se non restasse alternativa a una morte chiesta e ottenuta per mano propria o del personale medico tramite suicidio o eutanasia. La stessa Corte costituzionale ha aperto al suicidio assistito, pur ponendo tra le condizioni proprio un percorso effettivo di cure palliative. Ma negli ultimi mesi si registrano anche i segnali di quello che potrebbe essere un ripensamento culturale. In alcuni Paesi associazioni, gruppi di medici e voci ecclesiali stanno affermando con determinazione e argomenti il dovere delle istituzioni sanitarie di garantire a tutti i cittadini cure palliative e assistenza sanitaria domiciliare ai malati incurabili che ne possono trarre giovamento. Il Papa è intervenuto ben tre volte negli ultimi quattro mesi, la Cei si è espressa tramite il suo presidente cardinale Bassetti ricordando l’importanza cruciale delle cure palliative nell’offrire il necessario sollievo alla sofferenza del malato, mentre la Pontificia Accademia per la Vita è impegnata da tempo a promuovere la cultura delle cure palliative insieme alle altre religioni promuovendo iniziative nel mondo.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)