La pandemia da coronavirus ha reso evidente la fragilità di un sistema di cure territoriali non adeguato ad affrontare una situazione epidemiologica imprevista, che richiede in primis interventi di prevenzione e presa in carico a livello territoriale, riservando il ricovero ospedaliero ai casi più gravi.
Il nostro sistema sanitario si è rivelato impreparato ad affrontare l’epidemia per una carenza ad individuare, isolare e gestire sul territorio i casi di contagio e malattia. Una necessità che rimanda all'importanza di garantire un sistema di cure territoriali che sia reattivo e abbia gli strumenti opportuni per fronteggiare questo tipo di emergenze.
La figura di riferimento oggi per i cittadini è il medico di medicina generale; figura professionale che gode di un alto indice di gradimento da parte degli assistiti ma che, nel contesto attuale, è caratterizzato da un alto livello di cronicità per l’invecchiamento della popolazione, sconta le carenze e i limiti di una disorganizzazione.
Il cambio di paradigma non può non passare dal superamento dei vincoli degli Accordi collettivi nazionali e dall’avvio di un percorso di cambiamento che parta dal riconoscimento del ruolo e della visione dell’assistenza primaria e dalla medicina generale come suo presidio insostituibile, per rispondere alle sfide sia sul fronte della presa in carico delle patologie croniche prevalenti, sia sul fronte di una prima diagnosi.
In questo senso, seppur al momento senza un disegno unitario in cui inquadrare la nuova figura, va l’istituzione dell’infermiere di famiglia. Partendo dal contesto attuale i nodi su cui il cambiamento dovrà attuarsi dovranno tener conto di un altro valore riconosciuto dai cittadini, ossia il rapporto di libera scelta tra loro e il medico cui affidarsi. Anche le modalità di remunerazione dei professionisti, vincolati oggi per la maggioranza al numero di assistiti, non li incentivano a sviluppare modalità evolute di organizzazione ed erogazione delle prestazioni.
Il miglior scenario è rappresentato da una cornice definita a livello nazionale e regionale, in cui l’autonomia di progettualità delle associazioni dei professionisti troverà lo spazio per svilupparsi, tenendo conto dei diversi contesti territoriali e delle sinergie con la rete dei servizi sociali e sanitari.
Del resto, il passaggio da una pratica individuale a un pratica di team è caldeggiata anche dall’ OCSE, come risulta dal suo recente rapporto Realising the potential of primary health care (2020), contenente indirizzi e indicazioni da utilizzare come riferimento.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)