Tom Kitwood ha introdotto l’espressione “psicologia maligna” per far rilevare i disastrosi effetti di un’etichettatura psicologica a priori (posizionamento mentale) rispetto ad anziani e vecchi in fase di declino generale. Sabat ha successivamente sviluppato questa idea ridefinendola “posizionamento maligno” per esprimere meglio l’elaborazione di un profilo umiliante e stigmatizzante dei malati di Alzheimer. Oggi, i malati di Alzheimer sono visti come destinatari di cura, soggetti da guidare e cui va costantemente detto cosa fare mantenendoli in un atteggiamento remissivo e di minorità, privi d’indipendenza; in sostanza degli “agglomerati di sintomi”. Bisogna sostituire al “posizionamento maligno” un “posizionamento corroborante” .I malati, ma anche i loro familiari, ricercano assistenza e cure ma in primo luogo persone di cui fidarsi e a cui affidarsi. Primo impegno è cambiare il linguaggio riguardante la demenza, perché esso ne condiziona la percezione. Poi bisogna formare movimenti d’opinione e gruppi di supporto, per fornire:
- alla società, informazioni sulle caratteristiche della malattia,
- ai familiari accuditori e ai caregiver, non solo conoscenze e competenze per affrontare al meglio le circostanze in cui si ritrovano, ma anche sostegno umano per mantenersi il più possibile sereni e padroni degli eventi attuali e delle evoluzioni future;
- ai malati, finché possibile, collaborazione nel costruirsi o ricostruirsi un’identità familiare e sociale preziosa, riducendo il loro imbarazzo e favorendo una maggiore autostima.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)