Il fenomeno della denatalità parte da lontano: dal milione e 35mila nati del 1964 alla rapida discesa e appiattimento ai 500/550mila negli anni Novanta, per poi passare, dopo una modesta ripresa nella fase iniziale del nuovo secolo, al recente crollo intenso e continuo che ci ha portato dai 577mila nati del 2008 ai 393mila nel 2022. Anche l’avvio del 2023 non è confortante. Se estrapoliamo il calo dell’1,9% già registrato nei primi sei mesi (rispetto allo stesso periodo del 2022), tutto lascia supporre che a fine anno avremo modo di stabilire l’ennesimo, ulteriore nuovo record al ribasso.
Non sorprende osservare come impietosamente i confronti internazionali – ne ha dato conto recentemente il World Fatbook della Cia – posizionino l’Italia al sest’ultimo posto al mondo per frequenza di nati ogni mille abitanti. In una graduatoria dove ci sono ben 218 Paesi che fanno meglio di noi. Il freno alla vitalità della popolazione italiana resta dunque fortemente inserito nonostante vi sia ormai una crescente sensibilità circa le dinamiche in atto – e i relativi problemi che ne derivano – e nonostante siano già state attivate alcune interessanti iniziative volte a produrre una qualche inversione di tendenza.
In breve, si ritiene che per rilanciare la natalità sarebbe necessario creare le condizioni per accrescere l’autonomia dei giovani. Oggi per ogni 100 residenti 3034enni che hanno una loro autonomia familiare ce ne sono ben 444 che vivono ancora nella famiglia d’origine, mentre nel 1991 il rapporto era un terzo (per ogni 100 autonomi 152 in casa). Il passaggio successivo dovrebbe poi essere quello di mettere questi giovani in grado di operare senza ritardi la scelta genitoriale. Oggi si calcola che per ogni 100 30-34enni già genitori ce ne siano 279 ancora nella condizione di figli entro la loro originaria famiglia.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)