L’Istat, nel report sugli Indicatori demografici, conferma la devitalizzazione profonda della demografia italiana: decremento della popolazione, anziani (longevi) in aumento, nascite che continuano a non decollare, emigrazioni (soprattutto di italiani). La tenaglia invecchiamento/denatalità e indebitamento/recessione economica stringe sia il nostro modello di buon welfare che i meccanismi della fiducia e della coesione sociale. Come è già avvenuto negli anni ’60, le dinamiche demografiche e quelle macroeconomiche sono correlate. Il connubio tra crescita degli anziani e diminuzione della popolazione attiva (15-64 anni), che sta già a sua volta invecchiando (la fascia 15-39 anni è sotto di dieci punti percentuali a quella 40-64 anni), è incompatibile. Oggi l’indice di dipendenza degli anziani è pari a 35,6% il che significa che, per ogni over 65 ci sono meno di tre persone in età lavorativa. Se poi si considerano realmente tutti gli inattivi e li si confronta con quelli che di fatto lavorano, questo indicatore schizza al 60%, con la possibilità di avvicinarsi a 100 entro la metà del secolo (Rosina, il Sole 24 Ore, gennaio 2019). Prendendo in prestito Omero si potrebbe dire che gli Enea si riducono mentre gli Anchise da tenere sulle spalle si moltiplicano. Del tutto improbabili sono anche le prospettive di avere un sufficiente numero di figli come Ascanio. Enea, così vistosamente appesantito, non riuscirebbe probabilmente a fuggire da Troia né tanto meno a fondare Roma; ma le poetiche della mitologia non appartengono alla prosaica demografia.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)