Gus è uno dei migliori scout nel mondo del baseball, da decenni. Con l'avanzare dell'età, però, sta perdendo la vista e facilitando il compito di chi, sul lavoro, vorrebbe fargli le scarpe. Sua figlia Mickey, convinta da un amico di famiglia, si offre di accompagnarlo nel Nord Carolina, per aiutarlo a decidere se un giovane battitore è davvero la promessa che sembra. Da parte sua, però, Gus non ha mai fatto altrettanto per stare vicino alla figlia e la trasferta si rivela per la ragazza l'occasione di mettere il padre alle strette ed esigere una spiegazione. C'era una volta, circa un anno fa, un bel film sul baseball intitolato Moneyball, e c'è ora un altro film sullo stesso sport per il quale però si fatica ad esprimere lo stesso entusiasmo. C'era una volta un grandissimo Clint Eastwood in Million dollar baby, alle prese con un rapporto coach-allieva che diventava un legame vitale come quello tra un padre e una figlia, e c'è ora un Clint Eastwood che fa tristemente il verso a se stesso in Gran Torino, impegnato in un rapporto biologico padre-figlia che compie però esattamente il percorso inverso. Non si può non pensare che l'attore stia facendo una sorta di favore a Lorenz, anche se non ne conosciamo i termini, per ricompensare anni di sodalizio professionale, con il primo in veste di regista e il secondo di produttore o assistente. Ma non si può nemmeno non avvertire una sorta di beffa nel vedere l'uomo che ha riportato ai massimi livelli il cinema classico americano dentro un copione che si spaccia per classico ma è semplicemente prevedibile e vetusto. Le belle scene che costruiscono il rapporto tra Eastwood e Amy Adams - perché ce ne sono - vengono compensate dalla banalità di molte altre (più o meno tutte quelle che hanno a che fare con il telefonino di Mickey), piazzando il risultato su un deludente zero a zero. E risulta inutile anche appellarsi ai messaggi nella bottiglia lanciati nel flusso del film, come quello che vorrebbe ridimensionare il ruolo della vista nel giudizio e invitarci a far uso degli altri sensi, l'udito per primo, perché non solo Di nuovo in gioco non ha particolari idee visive, se non quella di rifarsi allo stile asciutto di Eastwood stesso, ma non ha nemmeno dialoghi degni di nota. S'imprime soltanto, ma con potente evidenza, l'alchimia tra i due protagonisti, congegnata in sceneggiatura secondo un parallelismo fin troppo perfetto, ma soprattutto innalzata dal lavoro degli attori fino a rendere la relazione di parentela più che credibile, quasi naturale.C'era una volta, circa un anno fa, un bel film sul baseball intitolato Moneyball, e c'è ora un altro film sullo stesso sport per il quale però si fatica ad esprimere lo stesso entusiasmo.
(Fonte: www.imdb.com)