La diffusione del coronavirus ha mutato anche il contesto delle cure a domicilio: meno visite – complice la paura del contagio –, ma anche la necessità di accudire i nuovi pazienti Covid-19, e di pensare progressivamente alla loro convalescenza e riabilitazione.
«Abbiamo registrato un sensibile calo delle prestazioni richieste», spiega Rosaria Sablonier, direttrice di SCuDo, servizio di assistenza e cura a domicilio nel Luganese.
«C’è un certo timore del contagio che spinge molti utenti a rimandare possibili visite da parte del nostro personale, nonostante siamo in grado di garantire i massimi standard igienici: è previsto l’uso rigoroso di mascherine, guanti, camici monouso, disinfettanti e di tutti i presidi indicati dalle autorità cantonali e federali».
L’infermiera Chiara Ermolli aggiunge che «in molti casi, chi rinuncia alle cure dispone oggi comunque dell’aiuto di famigliari che sono a casa dal lavoro. È importante però che chi sta seguendo terapie e necessita dell’aiuto di personale qualificato non vi rinunci, per evitare un peggioramento delle sue condizioni di salute».
Anche per le badanti la realtà in questi giorni è un po’ cambiata.
Ce lo racconta Silvia Dragoi, arrivata in Svizzera dieci anni fa da Timisoara.
Due lauree e trent’anni di esperienza come insegnante, ora accudisce una signora di 94 anni e «da quel punto di vista non è cambiato molto, comunque già prima stavamo a casa tutto il giorno»: a pesare è però soprattutto «la chiusura del centro diurno che le permetteva di fare nuove attività, di svagarsi. E consentiva anche a me di avere tempo per fare la spesa, ritirare la corrispondenza e occuparmi delle mie necessità. La signora non ha famigliari, per cui non c’è nessuno che possa sostituirmi».
A ciò si aggiunge la preoccupazione per la famiglia: «Mio marito e mio figlio vivono ancora in Romania. Anche loro sono chiusi in casa, e si è sempre in pensiero per quello che potrebbe succedere: il sistema sanitario rumeno non è come quello svizzero».
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)