Una forma di discriminazione strisciante e dolorosa quella legata all’avanzare dell’età all’interno delle aziende, che provoca conseguenze devastanti, non soltanto nelle persone che la subiscono ma anche e soprattutto all’interno delle aziende nella quale si manifestano che, oltre a rischiare costose e penose azioni giudiziarie, rischiano di perdere il patrimonio di esperienza, capacità, affidabilità e pragmatismo caratteristico dei dipendenti più anziani.
Quello che percepiamo oggi nelle imprese fortemente digitalizzate o dipendenti dalle nuove tecnologie, è il sintomo di un irrigidimento complessivo dei comportamenti aziendali, di una rallentata capacità di reazione a circostanze complesse e di un generale impoverimento del patrimonio cognitivo, spesso considerato obsoleto come le persone che hanno contribuito a crearlo.
Si vanno via via consolidando nelle imprese stereotipi fortemente negativi relativamente ai lavoratori più datati, visti spesso come un ostacolo al cambiamento, come resistenti allo sviluppo tecnologico, refrattari all’adozione di nuove tecnologie, più costosi, ecc. e ciò avviene indipendentemente dal fatto che i lavoratori più anziani sono statisticamente in grado di gestire meglio le responsabilità aziendali, emotivamente più stabili e mediamente più coscienziosi nello svolgimento del proprio lavoro.
Negli Stati Uniti i lavoratori di più di 40 anni sono protetti da una specifica legislazione l’Age Discrimination in Employment Act, normativa efficace anche se recentemente mutilata dallo spostamento dell’onere della prova sull’impiegato discriminato e non, come inizialmente previsto, sull’azienda discriminante.
Efficace comunque per il suo effetto deterrente ma anche per l’impatto milionario che azioni legali, spesso promosse da gruppi di impiegati discriminati, hanno avuto su giganti tecnologici del calibro di Google e IBM.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)