In Italia sono circa 12 milioni, tra cui molti over 65 e tante donne, le persone che soffrono di dolore cronico, e che, pur avendo accesso alle terapie, non sono trattate in modo giusto a causa della mancanza di una normativa nazionale omogenea. In Europa il dolore cronico colpisce un cittadino su cinque, ma l’accesso alle terapie è più semplice, a cominciare da oppioidi e cannabinoidi. Sono tantissime le patologie che causano il dolore cronico (per citarne alcune emicrania, endometriosi e fuoco di Sant’Antonio, oltre agli interventi chirurgici che spesso lasciano il paziente in uno stato di persistente sofferenza. «Il dolore può essere un sintomo che scompare una volta curati - spiega William Raffaeli, presidente della Fondazione Isal Onlus di Rimini - e quindi la sua funzione evolutiva è segnalare che qualcosa non va nell’organismo. Ma il dolore cronico non è affatto questo». È infatti funzionalmente inutile: «È causato da uno squilibrio nel sistema nervoso, che genera una sofferenza persistente, anche se la malattia è scomparsa». È quindi un danno residuale e per questo le associazioni di pazienti che il dolore cronico sia riconosciuto non come sintomo, ma come una vera malattia. La legge attuale, la 38/2010, che per la prima volta garantisce l’accesso alle terapie del dolore, rimanda l’attuazione alle Regioni,autonome nell’avviare l’iter che porti a definire i protocolli. «Il rapporto ministeriale sullo stato d’applicazione della 38 - sottolinea la senatrice e presidente della Commissione Igiene e Sanità Emilia De Biasi - parla di disuguaglianze tra le Regioni e dunque attendiamo l’emanazione di linee guida comuni». E, quindi, rilancia: «Vanno innanzitutto superati i pregiudizi sull’uso dei farmaci oppioidi e cannabinoidi». La diffidenza verso queste classi farmaceutiche, in sedi politiche, è infatti alta e le argomentazioni scientifiche si rivelano spesso meno efficaci dei preconcetti.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)