Nel “Decreto Rilancio” si stanziano nuove risorse per la domiciliarità. Si tratta di un settore cruciale per l'assistenza agli anziani che ha avuto un nuovo risalto durante l' emergenza Coronavirus. Cristiano Gori e Marco Trabucchi prendono spunto da questa novità per affrontare una questione di fondo: qualunque dotazione aggiuntiva di risorse rischia di rivelarsi un’occasione persa se non si ri-progetta tutto il settore.
Nei prossimi mesi giungerà in Italia una mole cospicua di risorse fornite dai programmi straordinari di sostegno post Covid-19 finanziati dall’Unione Europea e una quota significativa sarà destinata alla sanità. Maggiori fondi che dovrebbero servire anche ad affrontare il nodo della scarsità di risorse dedicate ai servizi domiciliari per gli anziani non autosufficienti.
Non bastano le risorse; l'altra parte del problema riguarda i modelli di intervento sulla domiciliarità. Le criticità di fondo, che non dipendono solo dall’inadeguatezza dei fondi e si legano alla diversa logica che ispira i singoli strumenti e le aree di intervento che sono l’Assistenza Domiciliare Integrata, i servizi di assistenza domiciliare comunale (SAD), le Unità valutative territoriali e il settore demenze.
Quanto all'Adi, bisogna dire che è guidato dalla logica della cura clinico-ospedaliera (cure); non è pensato per il sostegno alla non autosufficienza ma per rispondere a singole patologie, quindi non ha uno sguardo complessivo sull'insieme dei problemi legati alla persona e ai suoi molteplici fattori di fragilità.
Il servizio di assistenza domiciliare comunale (SAD), ha invece natura tutelare. Ha l'immagine di un servizio residuale ed è alla ricerca di un’identità sul ruolo nell’assistenza agli anziani non autosufficienti. I Comuni di fatto lo utilizzano per rispondere a situazioni complesse non sempre legate alla dipendenza ma alla compresenza di precarie condizioni di salute, solitudine e bassi redditi. Un servizio guidato sempre più da una logica socio-assistenziale che, in parallelo alla non autosufficienza, nei fatti considera la carenza (o la debolezza) di reti familiari e di risorse economiche quali criteri prioritari per l’erogazione.
Le Unità valutative territoriali, variamente denominate nelle diverse regioni (UVM, UVG o altro), che svolgono di solito un’efficace funzione di governo della domanda, contribuendo all’equità e all’appropriatezza nell’allocazione degli interventi pubblici ma spesso non operano una vera presa in carico e non connettono in una logica di rete i diversi interventi. Stentano insomma a diventare un effettivo punto di riferimento delle famiglie nelle diverse fasi del percorso assistenziale. In sintesi, alla diffusa logica di governo della domanda si accompagna la scarsa presenza dell’ottica della presa in carico.
Negli ultimi 15 anni il più rilevante profilo degli anziani non autosufficienti riguarda le demenze, che, nonostante sperimentazioni e esperienze pilota avviate in alcuni territori, fatica a trovare adeguate risposte dai servizi domiciliari.
Queste le criticità strutturali e non dipendenti solo dalla carenze di risorse che riguardano la domiciliarità in Italia e qualunque ipotesi di sviluppo dell’assistenza domiciliare dovrebbe ripensarne il ruolo tenendone conto.
Lo si può fare, sostengono gli autori, cimentandosi con la sfida di un nuovo "Progetto obiettivo anziani” nazionale per superare quello varato poco meno di 30 anni fa (1992) che è stato il primo e l'unico tentativo fatto dallo Stato italiano per definire un disegno complessivo di assistenza agli anziani.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)