Per esorcizzare la paura del coronavirus si concentra l'attenzione sull'età dei deceduti. Si potrebbe aggiungere che allora un sessantenne è a rischio di "morire ma non troppo, diciamo una cosa giusta".
È nell'ordine naturale delle cose che, in guerra come nella vita, sono i più deboli o i meno forti a morire.
Pur ammettendo che l'azione più virulenta del virus resti confinata nella terza età, che per gli statistici inizia a 65 anni, siamo di fronte ad un bacino potenziale di oltre dodici milioni di persone a rischio. Se poi riduciamo il campo degli ultra ottantenni, non tutti ovviamente in ottima salute, scendiamo a quattro milioni (di cui uno in Lombardia). Non sono numeri trascurabili!.
Se l'epidemia dovesse decimare questa fascia di popolazione ne potrebbero trarre beneficio i traballanti conti dell'Inps. Non sembra questo un valido motivo per lasciarglielo fare. Non è che la vita di un anziano con la salute «così così» vale meno di un'altra. Anzi, semmai va più protetta proprio perché più fragile.
Chi lo deve fare? Le autorità preposte, in primis, ma subito dopo chi anziano non è e che, con i suoi comportamenti, può seminare il virus dove potrà fare più danni. Ieri non sono morti di Coronavirus due ottantenni, ma due persone esattamente come chiunque di noi.
Se non deve contare il colore della pelle, perché mai dovrebbe essere importante l'età? Oggi siamo tutti molto attenti a definire razziste anche posizioni di semplice buon senso, è giunto il momento di tenere alta l'allerta sul razzismo contro gli anziani.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)