Invecchiare, lo sappiamo tutti, non è gradevole e non piace a nessuno, eppure non aveva torto Moravia, un altro «grande vecchio», quando sosteneva che «la vecchiaia non esiste, esistono le malattie della vecchiaia». Era una risposta diplomatica alla sentenza di Terenzio, Senectus ipsa est morbus e in fondo un modo di esorcizzarla. E però, come anche ammoniva Nabokov, «il futuro è un ciarlatano alla corte di Cronos».
Anche questo spiega perché siamo un Paese vecchio popolato di finti giovani.
Modernizzare, svecchiare, rottamare sono gli idoli e le parole d'ordine che concorrono a disegnare, assieme al trionfalismo sulla nostra grandezza e unicità, il conformismo di una nazione in coma la cui massima ambizione politica è essere scambiata per un albergo di lusso, un popolo di camerieri al servizio della bellezza. Il culto infantile per una modernità confusa con i gadget della tecnica completa il quadro e ne caratterizza la visione politica. Con la sua arte e la sua grandezza senza tempo, Ennio Morricone ci ricorda che vecchiaia e morte sono solo illusioni della dimenticanza, raccontano di quello junghiano «daimon ardente che talvolta mi rende maledettamente difficile mantenere la coscienza di essere mortale», sono la risposta più bella all'infantilismo come malattia senile delle nuove generazioni al potere, ci spiegano che il tempo è un accidente e la giovinezza non un dato anagrafico, ma uno stato di tensione, l'estate invincibile che esiste sempre nelle profondità del nostro inverno di esseri umani.
(Fonte: tratto dall'articolo)