La gestione della malattia di Alzheimer è diventata uno dei maggiori obiettivi delle politiche della sanità pubblica e l’attenzione si è concentrata sui tempi della sua diagnosi. Queste, è stato notato, sono troppo poche e tardive e ci si è interrogati sul ruolo del medico generico in questo frangente (Villars et al., 2013). L'articolo tenta di analizzare il ruolo del medico di base e le pratiche adottate inserendolo in un doppio sistema di vincoli tra questioni professionali e contesti socio-familiari. Da una parte le raccomandazioni della HAS attribuisce loro compiti specifici, essendo i primi nella formulazione della diagnosi e della prima descrizione medica e d'altro canto il rapporto con le famiglie è ambivalente. Sono partner chiave nel monitoraggio delle malattie croniche, ma il loro ruolo al momento della prima diagnosi cambia il quadro consueto delle relazioni medico/paziente e può porre problemi etici per i medici. Come prendono posizione in questi contesti complessi? Quali sono i legami tra la partecipazione nel dispositivo diagnostico, le implicazioni tra il contesto familiare e relazione con il paziente? In un sondaggio/intervista qualitativa su dei casi di diagnosi recenti, sono stati raccolti e incrociati il punto di vista dei medici, i pazienti e le famiglie. L' analisi dei risultati mette in evidenza tre forme specifiche di regolamentazione di questi vincoli e dimostra la complessità delle posizioni dei medici e i limiti dei loro margini su questi processi diagnostici.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)