La vittoria parziale contro il virus dell'HIV negli ultimi anni lascia aperta una falla per medici e pazienti: l'invecchiamento dei sopravvissuti. Il bilancio della convivenza con l'HIV può essere la vecchiaia prematura, avvertono gli esperti, e un aumento del rischio di alcune malattie, come tumori o problemi di salute neurologica e mentale.
"Ciò di cui soffriamo noi pazienti a lungo raggio, dichiarano alcuni malati, a parte la depressione e l'ansia, è il deterioramento cognitivo, come la perdita di memoria". I professionisti chiedono più risorse psicosociali e i pazienti sollecitano più formazione per le nuove generazioni di operatori sanitari.
UNAIDS stima che il numero di persone di età superiore ai 50 anni con l'HIV sia passato da 5,4 milioni nel 2015 a 8,1 milioni nel 2020. La prima generazione di sopravvissuti sta invecchiando —quelli che sono stati infettati negli anni Ottanta o Novanta—, ma continuano ad apparire nuovi casi in età avanzata. In quest'ultimo gruppo, lamenta Adrià Curran, infettologo dell'ospedale Vall d'Hebron di Barcellona, "di solito non si sospetta l'HIV, c'è un ritardo nella diagnosi e arrivano con la malattia molto avanzata".
Matilde Sánchez Conde, infettivologa dell'ospedale Ramón y Cajal di Madrid e membro del gruppo di studio sull'AIDS della Società spagnola di malattie infettive e microbiologia clinica, fissa a 50 anni il limite per iniziare a considerare che un persona colpita dal virus Dell’HIV stia invecchiando. A partire da questa età, spiega, è necessario vigilare poiché cominciano a comparire comorbidità legate all'età, come insufficienza renale, ipertensione, diabete, etc.
Uno studio pubblicato su The Lancet Health Longevity ha rilevato che, secondo i Centers for Disease Control statunitensi, il 50% delle persone con HIV ha più di 50 anni e rappresenta il 70% di tutti i decessi tra le persone con HIV. Le principali cause di morte tra le persone con HIV che hanno accesso al trattamento antiretrovirale, sottolinea, sono malattie come cancro, malattie cardiovascolari e deterioramento cognitivo. Le linee guida cliniche già raccomandano, tra l'altro, lo screening della fragilità a partire dai 50 (nella popolazione generale si inizia dai 70).
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)