Dall'inizio della pandemia, da marzo 2020 ad oggi, duemila infermieri hanno lasciato le Rsa per andare nel settore pubblico, molti aderendo ai bandi temporanei della Regione che cercava personale per affrontare la crisi nelle corsie affollate da malati di Covid. Michele Colaci, responsabile di Confapi Sanità in Piemonte cui aderiscono il 30% delle residenze sanitarie assistenziali, alza il velo su un'emergenza: "Prima, afferma, avevamo il problema del lavoro perchè con la pandemia purtroppo i casi di contagio nelle strutture e le doverose cronache quotidiane, molti parenti di anziani non si fidavano più del privato. Proprio quando cominciavano di nuovo ad avere fiducia nelle nostre strutture e nella loro sicurezza ci ritroviamo a dover rifiutare i ricoveri per mancanza di personale».
Gli infermieri se ne sono andati. Attratti da contratti ponte – da uno (e fino) a 3 anni – «alla fine dei quali sperano legittimamente di essere assunti nel pubblico a tempo indeterminato». Il pubblico, dunque, continua ad essere percepito come un impiego migliore. Sia dal punto di vista operativo che economico. Anche se le differenze retributive sono tra i 300 e i 400 euro in più al mese, i diritti vengono visti come più robusti. Molte delle 900 Rsa piemontesi hanno un problema. Nel Torinese ma anche - «e soprattutto» precisa Colaci – nelle altre province: Asti, Vercelli, Biella, Novara, Alessandria. E peggiorerebbe ancora se, come pare, si vada verso un'implementazione delle cure domiciliari. «Servirebbero almeno altri 300 infermieri che non ci sono».
Da qui una lettera al ministero che è un grido d'allarme e una richiesta di aiuto insieme. Non solo: «Siamo stati in Regione alcuni giorni fa a parlare con l'assessore Icardi. Abbiamo fatto delle proposte, messo in campo delle idee» precisa Colaci. Confapi fa un aserie di proposte, alcune più realizzabili di altre nell'immediato. Difficile ad esempio pensare che a breve le Rsa vengano istituzionalizzate col sistema sanitario nazionale. In quel caso le Asl dovrebbero intervenire spostando personale, pubblico, alla bisogna per tamponare le emergenze. Ma il percorso, già avviato in Toscana, non è semplice. La seconda ipotesi è quella di consentire agli Oss (operatori socio sanitari) con una certa esperienza e con un bagaglio di formazione documentabile, di somministrare le terapie preparate dagli infermieri.Infine, le scuole di "abilitazione" alla professione.
In Piemonte, in un triennio, gli istituti di formazione (messi tutti insieme) consegnano al mercato del lavoro 1160 infermieri. Troppo pochi rispetto alla domanda. «Ed è per questo che si potrebbe chiedere – almeno temporaneamente – l'abolizione del numero chiuso». L'alternativa è il mercato estero dei professionisti: «A fronte di questi numeri stiamo iniziando dai corsi di laurea delle università dell'est Europa. Lì ci sono infermieri disposti a venire qui subito, ma c'è il tema dell'equipollenza del titolo. Sarebbe utile che le pratiche burocratiche venissero snellite. Oggi ci vuole più di un mese. Troppo tempo».
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)