Enrico Testa presenta il suo testo “Montale”, edito da Le Monnier, valorizzandone l’ultima produzione. E’ vero che per lo più i grandi scrittori si vedono dalla giovinezza, ma il loro percorso va seguito fino alla fine, poiché le tonalità e le espressioni della vecchiaia spesso sono creative e intense come quelle della gioventù e della maturità. Ad esempio Aldo Palazzeschi, che a sessant’anni pubblica Fratelli Cuccoli (1948), a torto sottostimati. Testa parla soprattutto della produzione del Montale anziano, negli anni Settanta, affermando che negli ultimi libri ci sono poesie che nulla hanno da invidiare alle maggiori. Mette anche in risalto la vena colloquiale ed epigrammatica dell’ultimo Montale, dove manifesta il proprio disincanto, accentuando l’indole canzonatoria, poco propensa a qualunque fiducia nelle sorti progressive; ne scaturiscono versi di rigorosa chiarezza, che non tralasciano tuttavia di coltivare l’ambiguità dell’ironia e ogni possibile relativistico ribaltamento di valori. È sufficiente la citazione di alcuni versi: «Essere vivi e basta / non è impresa da poco»; «Abbiamo / fatto del nostro meglio per peggiorare il mondo»; «le cose sono fatti e i fatti / in prospettiva sono cenere». Prende qui consistenza materiale l’originario «male di vivere» montaliano, dove il poeta guarda la storia e giudica i protagonisti del Novecento.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)