Lo studio bio-psico-sociale dei ricercatori tedeschi del Max Planck Institute di Ristock "Una prospettiva globale su scambio intergenerazionale delle risorse e mortalità" rivela che chi vive in società dove ci sono maggiori scambi di risorse fra i suoi individui ha una longevità più alta.
Il fatto che salute e dono siano unite suggerisce che in tutte le società la relazione umana ha un’universalità pro-sociale. L'effetto benefico del dono è già stato presentato in uno studio americano del 2003 che evidenziava come stia meglio più il donante che il ricevente. Anche qui emergeva che i benefattori vivono più a lungo.
Il perchè è emerso da una ricerca del 2012, dove si è visto, attraverso l'esame di risonanze magnetiche di anziani coniugi, che quando uno dei due si prendeva cura dell'altro, gli si attivavano gli stessi circuiti cerebrali usati nell’accudimento madre/figlio. Anche la gestione delle problematiche legate al coronavirus, secondo la ricerca di PNAS che ha coinvolto 36 Paesi, fra cui anche l’Italia, mostra che le nostre chances di sopravvivenza sarebbero direttamente proporzionali alla misura in cui ognuno provvede all’altro. C'è infatti un algoritmo che elabora il danaro che ognuno trasferisce ad altri, ciò che ha ricevuto dalla famiglia o dallo Stato e l’età in cui avviene.
Quando si sommano le entrate e uscite nell’arco della vita si ottiene un valore, che cambia a seconda delle nazioni prese in esame, correlato all’aspettativa di vita. Nel calcolo rientrano anche gli introiti ricevuti dal lavoro nell'arco dell'esistenza. La quota totale che ognuno di noi ha viene correlata quindi con ciò che possiamo donare ali altri. Perché bisogna sempre ricordare che disuguaglianza sociale e aspettativa di vita sono strettamente correlate.
(Sintesi redatta da: Balloni Flavia)