Il medico non è obbligato ad aiutare un paziente a togliersi la vita: solo non è punibile per il reato di aiuto nel suicidio, previsto dall’articolo 580 del Codice penale, se il malato versa in alcune specifiche condizioni. E attenzione: tra queste, vi è l’effettivo coinvolgimento del malato in un percorso di cure palliative. Piantando nella sentenza depositata ieri questi precisi paletti, la Corte costituzionale ha innalzato gli argini entro i quali dovrà muoversi la nuova legge sul fine vita. D’ora innanzi, dunque, sarà penalmente tollerato l’aiuto al suicidio, ma solo quando presto prestato a una persona sottoposta a trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, che resti tuttavia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Precisa però la Consulta che «in accordo con l’impegno assunto dallo Stato con la citata legge [...] il coinvolgimento in un percorso di cure palliative deve costituire [...] un prerequisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente».
(Sintesi redatta da: Linda Russo)