Sono per lo più over 65 e rappresentano il 12,1% della popolazione italiana le persone con problemi di udito che in questo periodo di emergenza per il Coronavirus hanno dovuto far fronte ad un altro tipo di isolamento, quello acustico.
Si va dalle difficoltà a percepire le voci sussurrate che riguarda il 45,5%, che indica che questo accade a volte (32,3%) o frequentemente (13,2%), alla necessità di chiedere alle persone di ripetere ciò che hanno detto (54,7%) fino alla difficoltà di sentire i programmi alla TV o alla radio (26,9%).
Secondo Anifa, l’associazione di Confindustria Dispositivi Medici, per circa 3 mesi, durante la fase di lockdown, quasi nessuno si è presentato nei centri acustici per sottoporsi a prove e ancor meno sono le persone che hanno avviato il percorso di rimediazione.
Solo pochi centri acustici hanno lavorato su appuntamento, gestendo limitate richieste.
A rilento anche l’iter autorizzativo da parte delle ASL di competenza, i collaudi e i rinnovi.
«La gestione dell’emergenza, dal lockdown alla Fase 2, per le persone affette da problemi acustici sta diventando un vero e proprio isolamento. Chi non aveva disponibile un apparecchio acustico ha rinunciato ad andare a verificare le proprie condizioni e a dotarsi di un dispositivo che potesse aiutarlo a superare i problemi di udito. Questo atteggiamento genera spesso problemi depressivi», ha dichiarato Sandro Lombardi, presidente Anifa.
Si può stimare che nel 2025 il numero di persone con un calo uditivo autodiagnosticato saranno 8 milioni e che diventeranno tra i 10 e gli 11 milioni nel 2050.
Si tratta infatti di patologie destinate a crescere alla luce dell’invecchiamento della popolazione ma non solo.
L’incremento maggiore si riscontra tra il 2012 e il 2018, oltre che nella classe degli ultraottantenni, nella classe d’età di età intermedia (dai 46 ai 60 anni), che rappresenta quella più esposta ai rischi di tipo ambientale (+9,8% contro il +7,7%).
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)