In Francia arriva la figura della "biografa ospedaliera" inventata da Valéria Milewski: volontari che raccolgono i racconti dei malati terminali, per scrivere insieme un libro sulla loro vita che sarà poi dato alla persona indicata dal paziente. Un modo per attenuare l’angoscia del vuoto e della mancanza di senso, per fare di ogni esistenza vissuta qualcosa che valga la pena di tramandare. Se i grandi uomini della Storia, pensando alla morte, si sono consolati spesso pensando all’immortalità conquistata con la gloria, i biografi ospedalieri offrono a tutti i malati che lo desiderano la possibilità di lasciare una traccia: non c’è vita che non valga la pena di essere tramandata ai famigliari.
Valéria Milewski, a capo dell’associazione "Passeur de mots et d’histoires", linguista di formazione, ha avuto l’idea nel 2007, quindi si è messa in contatto con l’ospedale di Chartres, e dal 2010 è dipendente dell’azienda sanitaria. Scrive circa 20 biografie l’anno, da 10 a 400 pagine, poi rilegate a mano da un artigiano di Chartres, e consegnate alla persona designata dal malato, dopo la sua scomparsa. In tutta la Francia sono circa 25 i "biografi ospedalieri" che hanno seguito l’esempio di Valéria Milewski, dal nord al sud del Paese.
Nel prossimo aprile la cinquantenne francese sarà a Parigi al Ministero della Sanità, per partecipare a un convegno preparatorio sulla riforma della disciplina della fine vita e proporrà che venga istituito un diploma universitario. Può diventare un biografo ospedaliero una persona adulta e non giovanissima, che abbia un’esperienza di accompagnamento di persone alla fine della vita e con competenze di scrittura e di ascolto. Non si tratta di un lavoro psicologico, né di accertamento dei fatti, che non vengono verificati. La visione e i ricordi del paziente sono tutto ciò che conta. Dal punto di vista formale, se l’incontro tra il paziente e il biografo è menzionato nel preambolo del libro, la biografia non è firmata e il biografo è solo un "trasmettitore di parole". Una ventina di pagine vengono lasciate alla fine, in modo che il paziente o i suoi famigliari possano proseguire il racconto.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)